lunedì 15 marzo 2010

Namaste!


E' con enorme piacere che vi presento questo nuovo progetto legato alla nostra amata serie Lost. Opera chiave del primo decennio degli anni duemila, il serial creato da J.J. Abrams e Damon Lindelof (ed in seguito, con il supporto magistrale di Carlton Cuse) è come ben saprete un prodotto di qualità straordinaria e di incredibile profondità contenutistica. Perciò, inserendosi in un vuoto presente nella sterminata lista di siti e blog dedicati alla serie, lo scopo di LOST Essays è quello di fornire a intervalli più o meno regolari una serie di saggi di carattere filosofico, scientifico e semiotico con l'intento di far luce su tutti i meccanismi narrativi che regolano questa perfetta produzione.
Detto questo, e sperando che gli intenti iniziali siano più chiari con il passare dei posts è bene fare due precisazioni:

1) Chi è interessato solo agli spoilers o alle news generiche su Lost, farebbe bene a direzionare il proprio sguardo verso gli ottimi Lost Discovery e Push The Button o, per chi mastica l'inglese, l'ottimo e aggiornatissimo Dark Ufo. Il nostro blog, di contro, punta "solo" all'approfondimento di alcuni determinati aspetti dello show di Lindelof & Cuse.

2) LOST Essays è aperto ai contributi di chiunque voglia partecipare. Se avete idee o avete voglia di approfondire qualcosa in particolare non esitate a contattarmi.

Dopo questa noiosa presentazione vi lascio alla lettura dei primi due contributi: Lost e i fumetti, che inaugura la serie di saggi dedicati all'intertestualità in Lost, e Mircea Eliade sull'isola sacra, che analizza, a partire dagli studi del noto teorico, la fondamentale matrice sacra che regola sin dalle origini le avventure di Locke e compagni.

Prossimamente: Stephen King in Lost: dalla Torre Nera ad IT; Il cinema di Lost.



Andrea Belcastro

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domenica 14 marzo 2010

Il fumetto come modello narrativo: l’ombra di Watchmen


«Non è come C.S.I […] dove puoi perdere qualche episodio e quando tornerai a vederlo, saprai sempre tutto. In Lost le cose sono diverse. È una serie che va affrontata come un libro e letta capitolo dopo capitolo […] perché altrimenti non capisci più nulla. Io e J.J. abbiamo cercato di replicare il modello narrativo dei fumetti con i quali siamo cresciuti da ragazzini»[1]. Quello con i fumetti è un rapporto che ogni scrittore americano (a maggior ragione se audiovisivo) ha ben radicato nel proprio Dna, vista la diffusione di questo mezzo espressivo, spesso quello più controcorrente ed intelligente, dagli anni ’40 in poi negli Usa. Lo stesso Damon Lindelof, pur partendo come autore televisivo, nel 2006 ha coronato il suo sogno producendo per la Marvel Comics la miniserie Ultimate Wolverine vs. Hulk. Ma a legittimare il legame di Lost con i fumetti, troviamo nel team creativo di scrittori/produttori gente come Jeph Loeb e Paul Dini, due affermati autori di comics, affiancati da un paio di anni da Brian K. Vaughan considerato, a ragione, il maggior talento del settore dell’ultimo decennio. La sua prima prova come autore in Lost è l’episodio Catch-22 (3x17) nel quale sin dalle prime battute possiamo ascoltare un dialogo tra Charlie e Hurley che discutono su chi sia più veloce tra Flash e Superman. Lo stesso Vaughan autocita il suo Y- L’ultimo uomo (2002-2007) quando, in The Shape Of Things To Come (4x09), vediamo Ben utilizzare un bastone telescopico per uccidere due beduini nel deserto tunisino, ovvero l’arma preferita dell’agente 355 nel fumetto. Citazione che Lindelof e Cuse restituiscono l’anno dopo in 316 (5x06) mostrando Hurley intento a leggere una copia di Y - L’ultimo uomo prima di imbarcarsi sull’aereo che lo riporterà sull’isola.

Quando Damon Lindelof affermò in un’intervista che «Watchmen (1986-1987) è la più grande opera narrativa mai prodotta»[2], probabilmente ritenne di essere stato poco chiaro e poco tempo dopo precisò di ritenerlo «il libro più bello che abbia mai letto e lo sarà per sempre. Non riesco a pensare a nessun altro che abbia scritto una cosa come questa o che lo potrà mai fare»[3]. Un pensiero probabilmente condiviso da molti, se il Time nel 2005 lo ha incluso nella sua lista dei 100 migliori romanzi in lingua inglese dal 1923 ad oggi [4] e il precedentemente citato Brian K. Vaughan ha ammesso di averne tratto l’ispirazione principale per iniziare a scrivere [5]. Appare ovvio che con premesse del genere, Lost alla fine risulti avere parecchi punti in comune con la celebre graphic novel scritta da Alan Moore e disegnata da Dave Gibbons, basti pensare al fatto che entrambe sono opere seriali (Watchmen uscì come una miniserie di 12 albi) e corali, con capitoli/episodi di approfondimento sui singoli personaggi tramite l’utilizzo appropriato di flashbacks. Inoltre, sia Watchmen che Lost sono note per l’attenzione maniacale per i dettagli, scena dopo scena, tavola dopo tavola c’è qualche elemento importantissimo nascosto a prima vista così come i riferimenti culturali elargiti in grande quantità. Se questi sono elementi comuni solo dal punto di vista strutturale, da quello narrativo non mancano di certo le somiglianze: ad esempio in Watchmen il Comico viene buttato giù da un palazzo dopo aver scoperto i piani del nemico, mentre in Lost lo stesso accade a Locke quando minaccia di rivelare i progetti fraudolenti del padre. Oppure l’isola nascosta agli occhi del mondo sulla quale Ozymandias spedisce degli scienziati a compiere delle ricerche (come quelli della DHARMA), o la storia del Vascello Nero (come la misteriosa Black Rock di Lost) ed ancora i poteri precognitivi del dr. Manatthan e di Desmond. E gli autori di Lost, da grandi amanti del lavoro di Moore, hanno pensato anche di citare i conati di vomito di chi viaggia nel tempo, come Spettro di Seta quando giunge su Marte e come Ben e Locke quando si ritrovano nel deserto della Tunisia dopo aver spostato l’Isola nello spazio-tempo.


Andrea Belcastro


[1] Damon Lindelof intervistato da Marco Spagnoli per www.fantascienza.com (13/06/2006).

[2]Intervista rilasciata a Jeff Jensen per Watchmen: An Oral History. Entertainment Weekly (25/05/2007).

[3]Intervista rilasciata a Mike Cotton per THE WIZARD Q&A: WATCHMEN. (21/07/2007).

[5] Cfr. Intervista rilasciata a Jon Lachonis per www.buddytv.com (22/09/2007).

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sabato 13 marzo 2010

Mircea Eliade sull'isola sacra




«Non è un’isola. E’ un luogo dove accadono i miracoli». Queste parole, messe in bocca a Locke da Damon Lindelof e Carlton Cuse [1] nell’episodio finale della quarta stagione Casa dolce casa pt. 2 e 3 (stagione 4, episodio 13-14, 2008), ci restituiscono in maniera decisamente illuminante la cifra del rapporto strettissimo tra Lost e le tematiche sacre, perché, come affermato da Mircea Eliade «il sacro si manifesta come una realtà affatto diversa dalle realtà “naturali”»[2]. E cosa c’è di più soprannaturale, se non un’isola in cui avvengono dei miracoli?

Non è un caso, ovviamente, che a pronunciare queste parole sia il personaggio di John Locke, l’uomo che, trascorsa una misera vita sulla terraferma sperando ed illudendosi di avere uno scopo superiore da perseguire, si ritrova catapultato su un’isola dove ritrova, miracolosamente, prima l’uso delle gambe e poi un destino. Un viaggio spirituale, un walkabout, da rincorrere tra momenti di gloriosa esaltazione ed altri di pura disperazione e rassegnazione (metafora della vita?) il tutto sotto la regia dell’Isola stessa, che diventa agli occhi dello spettatore e dello stesso Locke, tramite atti misteriosi e prodigiosi, allegoria di Dio.

John Locke incarna il perfetto uomo religioso arrivando, nel suo peregrinare nell’isola, a trasfigurare «la vita comune di ogni giorno: ovunque egli scopre un mistero, una chiave. Anche il gesto più insignificante può significare un atto spirituale»[3]; così, quando, nell’episodio opportunamente intitolato Deus ex machina (st.1, ep.19, 2005) Locke, disperato, chiedendo all’isola una risposta, sbatte i pugni contro il portellone della misteriosa botola scovata in mezzo alla foresta, ecco che appare una luce. Bagliore che diventa metafora di speranza, un segno per continuare ad aver fede. Anche se quattro stagioni televisive dopo, lo stesso Locke finirà per liquidare la questione con un lapidario «era solo una luce»[4].

Di solito una società a forte carattere religioso/sacro, come quella rappresentata in Lost dagli Altri[5], presuppone un percorso iniziatico per i suoi adepti, solitamente fin dalla giovane età, tramite quello che Eliade definisce «apprendistato nella boscaglia». Ed è proprio la giungla/boscaglia dove John Locke (ed in misura minore anche tutti gli altri superstiti del volo Oceanic 815) supera continue prove che lo conducono a scoprire i «segreti sacri»[6] dell’isola. Al termine e nel mentre di questo cammino, ovvero negli episodi L’uomo dietro le quinte (st.3, ep.20, 2007) e Ricerca febbrile (st.4, ep.11, 2008), egli compie i passi decisivi per l’ingresso nella confraternita/società segreta che è a comando dell’isola incontrando (apparentemente, ma questo lo capiremo solo nel seguito delle vicende) Jacob[7] ovvero «l’iniziato [per eccellenza, ndr.], colui che ha conosciuto i misteri, colui che sa». E’ curioso, e probabilmente non casuale, che questo “incontro” avvenga in una capanna in mezzo alla foresta, molto simile a quelle, realmente esistenti, teorizzate e descritte da Eliade: «In parecchie regioni, nella boscaglia vi è una capanna iniziatica. Là dentro i giovani candidati si sottopongono a una parte delle prove e vengono istruiti sulle tradizioni segrete della tribù ».[8] Locke quindi incontra Jacob per comprendere tutti i segreti dell’isola, e nella seconda visita riceve dal suo (presunto?) intermediario Christian, prima, le istruzioni su come salvare l’isola, ed in seguito, la richiesta di accettare la prova di fede finale: il sacrificio della propria morte per poter ottenere la salvezza dell’isola stessa. In seguito intuiremo che si tratta di un raggiro compiuto da Christian (legato in realtà all’acerrimo nemico di Jacob), inducendo lo spettatore a riflettere sull’idea che Lost porta avanti nei confronti del potere illusorio della religione. Per quanto l’isola sia essa stessa ierofania, «la manifestazione di qualcosa di completamente diverso, di una realtà che non appartiene al nostro mondo»[9], ciò che il testo audiovisivo sembrerebbe indirizzarci verso le spiegazioni (fanta)scientifiche di questi fenomeni (che in maniera paritetica Lost fornisce allo spettatore) piuttosto che quelle sacre e religiose.

Durante la “quinta stagione” assistiamo ad un consistente aumento degli elementi che riconducono il gruppo degli Altri alle classiche confraternite segrete, in particolar modo per quanto riguarda i riti d’entrata, ovvero «reclusione, tortura, prove iniziatiche, morte e risurrezione, […] insegnamento di una lingua segreta, ecc.»[10]. I primi due elementi, in realtà, ci invitano a considerare la consistenza societaria del gruppo dei sopravvissuti protagonisti del serial, i quali si ritrovano in più occasioni a imprigionare e torturare individui prima di accettarli come propri membri o come soggetti innocui, in particolare come vediamo in Uno degli altri (st.2, ep.14, 2006) quando l’irakeno Sayid tortura Ben (capo degli Altri), il quale si spacciava proprietario di una mongolfiera naufragata sull’isola. Il fatto che Ben sia leader degli Altri, rappresenta il ponte che ci riconduce, in primo luogo, al forte dualismo iniziale tra i due gruppi trasformatosi in seguito in alleanza[11] e alla labile differenza della sacra distinzione tra cosa è il bene e cosa è il male, ed, in seconda battuta, alle modalità di ingresso negli stessi Altri, come ad esempio l’utilizzo di una lingua segreta da adoperare nel caso si cada prigionieri. In La bomba (st.5, ep.3, 2009), vediamo, ad esempio, un giovane Charles Widmore comunicare in latino con un suo compagno per evitare di farsi capire dai loro aguzzini. In latino è anche la risposta («Ille qui nos omnes servabit»[12]) alla domanda in codice «Cosa giace all’ombra della statua?»[13], elemento di primaria importanza nella fase finale della quinta stagione.

Ma ancora più interessante riguardo i riti d’iniziazione, è la questione della morte e della risurrezione, che riporta prepotentemente in gioco la figura, sempre più centrale, di John Locke. Morto sulla terra ferma per salvare l’Isola, ma apparentemente e miracolosamente risorto appena riportato sulla stessa[14], Locke assume i connotati del supremo uomo religioso. Il parallelismo con Gesù Cristo è evidente, e già in Deus ex machina (st.1, ep.19, 2005) è la stessa madre di Locke a lanciare un piccolo segnale di ciò che vedremo successivamente quando afferma che John non ha mai avuto un padre e che si è trattata di una «immacolata concezione». Uguale è anche il percorso, lo «schema iniziatico: sofferenze, morte e risurrezione (rinascita)»[15] che porta l’uno (Gesù) alla spiritualizzazione che lo libera dallo spazio e dal tempo, e l’altro (Locke) alla conoscenza illimitata dell’isola e dei suoi poteri e finalmente ad appropriarsi del ruolo di leader degli Altri. Il paragone assume ancora più consistenza e legittimazione, quando nell’episodio precedente (316, st.5, ep.6, 2009) a quello in cui vediamo in azione il redivivo Locke, assistiamo ad una disamina da parte di Ben (l’assassino di Locke, ma anche colui che farà in modo di riportare il corpo sull’isola) del quadro Incredulità di San Tommaso, dipinto dal Caravaggio nel 1600 e raffigurante per l’appunto l’apostolo (scettico esattamente come il Jack [16]a cui Ben si sta rivolgendo) mentre infila un dito nella ferita del costato dell’appena risorto Gesù. Insomma, in entrambi i casi, la morte «viene ad essere considerata come la suprema iniziazione, l’inizio di una nuova esistenza spirituale»[17]. Se non fosse che, scoprendo che in realtà Locke è davvero morto e mai risorto, e che l’uomo (?) che vediamo agire sull’isola con le sue sembianze non è altro che un impostore (un nemico di vecchia data di Jacob, che trama alle sue spalle), le convinzioni religiose che fino a quel momento sembravano essere instillate con sicurezza nello spettatore subiscono un ennesimo colpo basso.

Nell’episodio LA X (st. 6, ep. 1-2, 2010) scopriamo che questa sorta di mutaforma è in realtà il mostro di fumo nero che si aggira sull’isola giudicando – tramite una sorta di scannerizzazione – e, in caso, uccidendo gli abitanti dell’isola, assumendo anche la forma e i ricordi delle persone morte[18]. Un mostro che presenta molte affinità con quello (delle tribù africane) descritto da Eliade, avente «il potere di uccidere gli uomini, inghiottirli e vomitarli subito dopo averli rinnovati»[19]. Non sarà il vero Locke, ma quel che conosciamo ora è sicuramente un personaggio “rinnovato” in tutti i suoi aspetti.

Il mostro dell’Isola non è solo un’entità assassina e pericolosa, ma è anche il guardiano del Tempio. Luogo santo per eccellenza sull’Isola, nel quale si trova riparo da ogni corruzione esterna[20], «un posto solo per noi» ovvero solo per gli Altri, le cui mura rappresentano una soglia per «evitare che gente come voi [chiunque non sia uno degli Altri, ndr.] possa anche solo vederlo [il Tempio]» come affermato da Ben.[21] Il mostro è custode di questa soglia che ostacola «l’entrata alla malafede degli uomini» ed è anche (come per alcune culture paleo orientali) «il luogo del giudizio»[22]. Infatti è da una buca sotto le mura che circondano il Tempio (buca che è metafora della soglia) che Locke e Ben entrano in Ciò che è morto è morto (st.5, ep.12, 2009) per far sì che le azioni di quest’ultimo siano “giudicate” dal mostro[23]. Il Tempio è anche il luogo in cui Ben, in fin di vita da giovane, viene curato. In seguito alla miracolosa cura, Ben perde la «sua innocenza e non ricorda più nulla»[24], il che ci riporta al tema della morte trattato da Mircea Eliade, il quale afferma infatti che «per guarire l’ammalato bisogna farlo nascere di nuovo»[25].

«John Locke […] vuole proteggere la separazione radicale dell’Isola dal mondo. In altri termini il suo essere sacra»[26], e per farlo cerca in tutti i modi di ostacolare chiunque voglia abbandonarla od invaderla. Paladino fino in fondo di questo mondo divino, paradigma di un concetto religioso molto antico: «quello del luogo perfetto, cioè completo […] e isolato. Luogo perfetto in quanto mondo in miniatura e Paradiso insieme, fonte di beatitudine e luogo d’Immortalità»[27]. Pura apparenza forse, potremmo dire con l’esperienza acquisita da spettatori. Apparente immortalità, apparente beatitudine e, per chi la cercava sull’Isola stessa, anche apparente redenzione. Locke perde la vita, perde tutto illudendosi di averlo ottenuto, vittima di un gioco più grande, vittima di un’isola che a seconda dei punti di vista può apparire tanto paradisiaca quanto infernale[28]. Ma forse più simile ad una via di mezzo, un Purgatorio. Come sospettato e teorizzato da molteplici spettatori nei primi anni di messa in onda del serial[29].

Non sarà forse un Paradiso, ma è certamente un luogo con una sua sacralità, una sua miracolosa unicità. E come ogni luogo con caratteristiche così importanti, ha un’entrata difficoltosa che rimanda al simbolismo religioso della “Porta stretta”, e come la «Visione di san Paolo ci mostra un ponte “stretto come un capello” che collega il nostro mondo al Paradiso [e sul quale] i peccatori, incapaci di attraversarlo, sono precipitati nell’Inferno»[30] anche chi intende raggiungere l’Isola, deve seguire una precisa rotta ottenuta tramite complessi calcoli scientifici per evitare di incappare in pericolosi “effetti collaterali”, che in questo caso consistono in sbalzi spazio-temporali della mente, i quali conducono, in breve, ad una dolorosa morte.

John Locke, l’uomo di fede, e Jack Shepard, l’uomo di scienza, intrecciano più volte, nel corso della serie, i loro destini e i loro ideali finendo per scambiarseli, quando alla fine della terza stagione in Attraverso lo specchio (st.3, ep.22, 2007) è la morte del primo a suggellare la metamorfosi di Jack. Questi, ossessionato dai rimorsi, incomincia a credere che non fosse il suo Destino quello di lasciare l’Isola. Ora, escludendo alcuni tentativi che abbiamo visto precedentemente, non riusciamo a capire chi dei due abbia ragione e se ve ne sia una. Lo stesso Lost vive e sviluppa la sua filosofia sopra questa dicotomia, in una querelle che probabilmente non ha soluzione; e come osserva Eliade:

L’uomo areligioso discende dall’homo religiosus e, lo voglia o no, è anch’egli opera sua […] e si è costituito in opposizione al suo predecessore, sforzandosi di “svuotarsi” di qualsiasi religiosità e di qualsiasi significato transumano. […] Si forma attraverso una serie di negazioni e di rifiuti, ma è continuamente ossessionato dalle realtà che ha sconfessato.[31]



Andrea Belcastro

[1] Principali sceneggiatori e produttori esecutivi del serial. Damon Lindelof inoltre è co-creatore di Lost insieme a J.J. Abrams.

[2] M. Eliade, Il sacro e il profano, tr.it., Boringhieri, Torino 1973, p. 14.

[3]Ivi., p. 116.

[4] Il piccolo principe (st.5, ep.04, 2009).

[6] M. Eliade, Il sacro e il profano, cit., p. 119.

[7] Il cui nome è un evidente richiamo al Giacobbe biblico e la sua “scala” che conduce al paradiso.

[8]M. Eliade, Il sacro e il profano, cit., p. 120.

[9] Ivi, p. 14.

[10] Ivi, p. 122.

[11] Quando Charles Widmore (ex-leader esiliato degli Altri), per riprenderne possesso a spese di Ben Linus, invia sull’isola un team di mercenari armati fino al collo pronti ad ucciderne qualsiasi abitante.

[12] Richard Alpert, il consigliere degli Altri, è il primo personaggio che vediamo saper rispondere al quesito in L’incidente (st.5, ep.16-17, 2009).

[13] Pronunciata per la prima volta da Ilana, misteriosa alleata di Jacob, in Ciò che morto è morto (st.5, ep.12, 2009).

[14] Lo vediamo nuovamente in vita nell’episodio Vita e morte di Jeremy Bentham (st.5, ep.7, 2009).

[15] M. Eliade, Il sacro e il profano, cit., p. 124.

[16] L’uomo di scienza per eccellenza del serial.

[17] M. Eliade, Il sacro e il profano, cit., p. 124.

[18] I cui corpi, tranne (stranamente) quello di Locke, sembrano scomparire come inghiottiti nel nulla.

[19] M. Eliade, Il sacro e il profano, cit., p. 122.

[20] Cfr., Ivi, pp. 42 sgg.

[21] Rispettivamente in Ti presento Kevin Johnson (st.4, ep.8, 2008) e in Ciò che è morto è morto (st.5, ep.12, 2009).

[22] M. Eliade, Il sacro e il profano, cit., p. 23.

[23] In realtà, come abbiamo imparato nel corso dei vari episodi, possiamo estendere il concetto di soglia, come luogo di giudizio in cui agisce il mostro, anche all’Isola stessa. Il mostro è il «sistema di sicurezza dell’Isola» come affermato da Danielle Rousseau in Esodo pt.1 (st.1, ep.23, 2005).

[24] Richard Alpert in Ciò che è successo, è successo (st.5, ep.11, 2009).

[25] M. Eliade, Il sacro e il profano, cit., p. 124.

[26] S. Regazzoni, La filosofia di Lost, Ponte alle Grazie, Milano 2009, cit., p. 41.

[27] M. Eliade, Il sacro e il profano, cit., p. 98.

[28] Anthony Cooper, il padre di Locke, si ritrova catapultato sull’Isola dopo un incidente stradale e incontrando in una nave di pirati al centro della giungla ,suo figlio che credeva morto, pensa, forse a ragione, di trovarsi proprio all’Inferno (Il brigantino, st.3, ep.15, 2007).

[29] Negli innumerevoli forum su internet dedicati alle discussioni su Lost.

[30] M. Eliade, Il sacro e il profano, cit., p. 115.

[31]Ivi.., pp. 128-129.

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